Non c’è tempo e non c’è spazio, solo un filo d’Arianna che consente di penetrare il labirinto e tornare indietro.
In una città sconosciuta, si trova la Conservatoria Generale dell'Anagrafe. La prima fila di tavoli, parallela al bancone, è occupata dagli otto scritturali a cui compete ricevere il pubblico. Dietro, c'è la fila di quattro tavoli, dove siedono i funzionari. Ancora più arretrati ci sono i due tavoli dei vice e ultimo, isolato, il conservatore, a cui tutti si rivolgono, chiamandolo capo.
Né dentro, né fuori dalla Conservatoria Generale dell’Anagrafe, i personaggi hanno nome o volto. L’unico ad avere un nome è lui, il signor José. Non solo, ha anche due cognomi, uno da parte del padre e uno da parte della madre. Ma a José non serve, perché quando si presenta col nome intero, i suoi interlocutori non trattengono nella mente che il solo nome, José.
José vive in una casa, nella quale una porta dà accesso diretto alla Conservatoria. Ma in teoria, egli non ne può far uso. Deve, come tutti gli impiegati, entrare dalla porta principale.
José lavora nell’archivio, l’immenso archivio dove tutto è scritto sui vivi e sui morti. A dividere vivi e morti, un certificato. Linea di confine.
Di notte, José, coltiva il suo hobby: colleziona notizie su personaggi del suo paese che, per qualche ragione, sono divenuti famosi. Nell’archivio può trovare le schede che li riguardano. Nel buio della notte le sottrae e le porta a casa per copiarne i dati.
Una notte, per puro caso, la scheda di una donna, rimane attaccata alle altre.
Questa donna non è famosa. Questa donna è una perfetta sconosciuta. Questa donna è viva.
Per José diviene un’ossessione, il suo unico pensiero, quasi una disperata ricerca della vita. O del suo significato.
Per questa sua ricerca, José è disposto a tutto. Nessuno sa che dietro al grigiore del suo ordinario si apre un inquietante straordinario. O forse sì.
Troverà questa donna, ne sentirà persino la voce. Ma non la vedrà e non le parlerà. Quella donna avrà già aperto la sua porta e sarà uscita, o entrata. Dipende dal punto di osservazione.
Talmente lucido nella sua assurdità, da farlo sembrare assoluta normalità.
Alla fine ho avuto bisogno di respirare profondamente.