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Patricija

Gatta ci cova

Quando penso che Beethoven è morto mentre tanti cretini ancora vivono... Con CD Audio

Quando penso che Beethoven è morto mentre tanti cretini ancora vivono... Con CD Audio - Éric-Emmanuel Schmitt, Alberto Bracci Testasecca Non è una biografia. Non è nemmeno un trattato di analisi musicale. È un piccolo saggio, per tutti, scritto con quella semplicità che solo la conoscenza profonda e l’amore possono rendere.
Eric, scopre Beethoven a 15 anni, un’età difficile, l’età in cui si intrecciano debolezze e conflitti, paure e scoperte. Lo accompagna per 5 anni, per tutta la durata di quel periodo travagliato che è l’adolescenza. Poi si lasciano. E Beethoven diventa un nome, uno fra tanti. Fino a quando Eric si reca a Copenaghen per la promozione di una sua pièce. L’incontro avviene, al Ny Carlsberg Glyptotek, dove è in corso la mostra “Le maschere dall’antichità greca a Picasso”. Un’intera sala è dedicata a colui che ha sbalordito la civiltà occidentale. Lui, Ludwig! Busti, effigi. Una nuova esplosione violenta e vigorosa di emozioni, e il ricordo di quelle ore di intimità in cui Beethoven innalzava tanto la sua anima da dargli la forza di affrontare il mondo e la capacità di polverizzare l’ottusità e la mediocrità umane.
Poche ore dopo, Eric, inizia a scrivere sul taccuino da viaggio una storia intitolata “Kiki van Beethoven” destinata al teatro (che si trova nella seconda parte del libro).
Eric-Emmanuel Schmitt suggerisce l’ascolto di alcune pagine beethoveniane mentre si srotolano, insieme alle note, riflessioni musicali e umane. Come umana è quella gelosia che alza la tensione quando Mozart fa capolino, con la sua grazia miracolosa, la sua bellezza sconcertante. Ma…
“Mozart ode. Beethoven fabbrica.
In entrambi il mestiere è solido, superiore, rigoroso, virtuoso. In entrambi trionfa l’arte.
Tuttavia laddove Mozart nasconde il gesto, Beethoven lo mette in primo piano. Mozart ci propone il prodotto della mente, Beethoven la mente che produce.
Beethoven cerca. Mozart ha trovato.
Beethoven rimane presente nella sua opera. Mozart se ne va.
Beethoven ci lascia con la sua musica. Mozart con la musica.
Nella creazione Beethoven si comporta da uomo, Mozart da dio. Il primo si mette in mostra, l’altro in disparte. Uomo immanente, dio nascosto.
È per questo che, innalzando Mozart alle stelle, ci sentiamo più vicini a Beethoven. Uno è divino, l’altro umano”.


Beethoven prende per mano, guida, fortifica. Insegna il coraggio al fragile adolescente che ne trarrà giovamento poi, in età matura, quando affronterà i travagli personali e affronterà le asperità di quel mondo che inizia là, dove finisce lo zerbino.
Beethoven insegna a non abdicare, a proseguire, ad affrontare gli ostacoli con ardimento e ottimismo. Sebbene il padre, tenore fallito e alcolizzato, gli imponga lo studio del clavicembalo a suon di botte, umiliazioni e insulti, Ludwig amerà la musica. A 26 anni viene colpito da sordità. Ludwig, dalla terza sinfonia in poi comporrà le sue opere privo di udito. Con i pochi veri amici dialogherà utilizzando il suo taccuino (suggerisco la lettura, a tal proposito, di Luigi Magnani: Quaderni di conversazione di Beethoven).

”Beethoven non guarda in alto, guarda l’uomo e lo trova alto. Nessun Gloria o Magnificat o Laudate per lui. A differenza di Bach e Mozart, non ringrazia il Creatore né lo implora. Sa che Dio abita lontano, e se la cava senza di lui.

La sordità gli impedisce ogni legame, lo condanna all’isolamento, ma peggio ancora gli toglie la possibilità di ascoltare l’esplosione di suoni che riempie i teatri. Sentirà la musica in solitudine, con la mente e con il cuore. Nonostante ciò, al crepuscolo della vita scriverà un Inno alla gioia.

Ci sono intime e misteriose forze che trasformano l’uomo in eroe. Malgrado tutto.
Ludwig van Beethoven lo è. Eroe oltreché uomo.