I terreni s’accorpano e le vite s’allontanano in quella terra di braccianti trasformati in operai. Il mondo cambia, avanza. Albert si ferma.
È il 9 luglio 1961. Caldo da togliere il respiro. Caldo da morire. È il giorno per non mentire, perché: “Morire nella menzogna è possibile. Ma non è possibile uccidersi senza essersi detti la verità”.
Poi ci si può congedare. Non è resa. È non accettazione.
Ed estremo gesto d’amore.
Suzanne sarà libera, Henri tornerà dal fronte. Il piccolo Gilles, che coglie in suo padre “il silenzio delle statue e quel silenzio" gli conferisce "ulteriore densità”, imparerà a conoscere il mondo e l’umanità attraverso le parole, aiutato dal maestro Antoine.
Albert chiamerà un’ultima volta Madeline “mamma”. Andrà a lei con l’anima nuda a pronunciare quella parola di bambino. Lui, il suo “agnellino dalla pelle scura”, la prenderà in braccio, la sua mamma bambina, la poserà sul letto e la guarderà un attimo ancora.
Poi sarà il momento. “Niente di più”.
Pagine di grande intensità. La narrazione di Seigle è delicata, non fa rumore. Così sembra. In realtà è una bomba a tempo.
Esplode.
Dopo.
Il peso di una vita nella ferita di un ciliegio.
Chissà se l’anima di Albert l’ha chiusa, chissà se la ferita s’è cicatrizzata dando forma a un bellissimo nodo.