“… chi scrive e chi legge debbono amare violentemente le parole che giocano, e dove non c’è gioco di parole, equivoco, nonsense, doppio senso, omeoteleuton, semplicemente non c’è la letteratura; state sicuri che il fragore di un gioco di parole copre qualunque illusione di significato...”
Leggerti è capitombolare in una festosa euforia. Esilarante e tragica. Un’ilarità perversa. Una mefistofelica gaiezza. Ti rendi conto, Manga? In preda alla demenza che intendi. Ché seguendo il discorso del fool non potrebbe andare diversamente.
Dementi i lettori, dementi gli scrittori, dementi i critici letterari e i recensori. E la letteratura? Demente anch’essa, giacché la demenza è madre della scrittura e della letteratura.
“ Solitaria, catastrofica e totalmente felice, la letteratura ride.”
Ride. “La letteratura dello stemma ride; la letteratura dell’ombra ride.”.
E anche le parole ridono. E giocano. E parlano, le parole. Affabulano e irretiscono, e “non è possibile sottrarvisi, giacché la scelta non è dello scrivente e del leggente, ma delle parole. Esse sono i demoni che affollano il mondo, e le nostre vite non avrebbero senso altrimenti, né avrebbero luogo. Notate: un lato della parola è rovente, un lato della parola è diaccio; dunque non si possono toccare; eppure, si debbono toccare. L’inferno è inaccessibile, ma è stata costruita una strada d’accesso; il cielo è supremo, ma è stata innalzata una scala vertiginosa.”
Non potremo mai possedere le parole; ma ne saremo posseduti.
L’incantesimo si rinnova. È la letteratura. Inutile e indispensabile. Hai ragione: “Si può vivere senza letteratura, purché si sia già morti”
Ahhh!, che goduria questa mirabolante demenza. Tanto, che son tornata spesso sui miei passi per gustarla ancora. Ancora. E ancora.
Viva te, viva il fool. Viva l’ombra e viva lo stemma. Grazie. Grazie.