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Patricija

Gatta ci cova

Elisir d'amore - Éric-Emmanuel Schmitt

Lo so, l’ha detto il mio amico Manga, che cominciare con un dunque virgola è villano. 

Dunque, nella mia rubrica telefonica c’è il gruppo “defunti”. Ci finiscono i noiosi e gli urticanti, i supponenti e gli imbecilli, gli indigesti tutti. È una nutrita comitiva, quella che popola l’area “defunti”. Quando uno di loro chiama risuona la Marcia funebre per una marionetta di Gounod. Il “Ciao!” seguito dal nome del telefonante è sostituito da un “Prooonto!?” prolungato, antipatico, con l’ultima “O” che sale verso l’acuto e gela l’atmosfera, sicché il clima da inverno jacuziano impedisce qualsivoglia dialogo.
Chi se ne frega, direte voi. E avete ragione. Tuttavia, (altra insolenza grammaticale) serve a introdurre il mio pensiero sull’Elisir d’amore o La fiera delle ovvietà, il cui incipit recita così:


“Louise, se sei in ascolto, buongiorno.
Se non lo sei, addio.
A seconda della reazione che avrai, questo messaggio costituirà l’inizio o la fine del nostro scambio epistolare.”
 

Al posto di Louise avrei cestinato la mail, e Adam sarebbe finito all’istante tra i “defunti”. Così, con un clic. Com’è semplice, in certi casi, liberarsi dei fastidi. 
Invece Louise ha risposto. 
Leggo. 
Mi deconcentro. 
Quanti baci avrà mangiato? Che curiosa coincidenza: Louise è il nome dell’autrice delle missive e Luisa quello dell’ideatrice dei famosi baci, che inizialmente aveva battezzato “cazzotti” (giuro) ed erano privi di messaggi d’amore. Di quelli è responsabile un certo Seneca (il futurista, non il filosofo). 
Rientro dalla digressione. 

(Louise) se l’amicizia è la tomba dell’amore, odio l’amicizia.
(Adam) solo la pelle separa l’amore dall’amicizia. Ed è sottile...
(Louise) Ti pare sottile? A me sembra una muraglia.


E allora, Adam si spertica a spiegare alla poveretta che mentre il corpo decade la mente si fortifica, e che l’amicizia è conseguenza logica di un amore vero. Tradimenti a parte, bien sûr.
Lei, che si sentirebbe umiliata dell’amicizia post-amore, replica che preferisce la suite della passione al monolocale dell’affetto.
E lui, l’Adamo senza O, la rimbrotta. Louiselouiselouise, vuoi tutto? Precipiterai nel buio dell’infelicità, ingorda e frustrata che sei. Se pretendi la perfezione, è meglio che rinunci a vivere!
Louise non ticchetta più, lui si turba e digita:

“mi tieni il muso?
Mi stai odiando?
Mi hai dimenticato?”


E mi sovviene quella vecchia pubblicità d’una nota compagnia telefonica: “Mi ami? Ma quanto mi ami? Mi pensi? Ma quanto mi pensi?” Di nuovo distratta. 
Mi riprendo. 
L’Adamo parigino invia altre due righe due pregandola di rispondere anche mezza parola, altrimenti vola da lei. Non serve. Arriva la mail di Louise: 625 parole acidine, astiosette. Ma che nostalgia, che furtive lacrime! Figurarsi! 
Lui di parole ne trasmette 400. Poi si torna alla parsimonia.


(Louise) Come te la passi? Raccontami le tue giornate. C’è un’altra donna? 
(Adam) Non una donna, alcune donne. Nessuna può sostituirti, Louise.



E penso a Nemorino:

Ah! te sola io vedo, io sento
giorno e notte e in ogni oggetto:
d’obbliarti in vano io tento,
il tuo viso ho sculto in petto.
Col cambiarsi qual tu fai,
può cambiarsi ogn’altro amor.
Ma non può, non può giammai
il primero uscir dal cor.


Louise scrive al suo ex-caro-tuttavia-amico che prima d’apprezzare certe cose ci si deve abituare. Il caffè, le sigarette, i broccoli, la solitudine. Per esempio.
Non sono ancora a metà. 
Scambi di confidenze sull’amore, sugli amori. Sulla psicanalisi. Su altro.
Sei geloso? Chiede lei. 

(Adam): detesto la gelosia e sarei furioso se mi scoprissi geloso.
(Louise): si può essere padroni di ciò che si pensa, ma mai di ciò che si sente.


S’infastidisce lui. S’infastidisce lei. E nemmeno io scherzo. 
Per fortuna è lettura di mezz’ora o poco più.
Forse quei baci avrebbero fatto meno danni se ingoiati con la loro carta argentata, ben sigillati, per impedire l’uscita dei famigerati bigliettini. Ché poi si prende spunto. Ahinoi.

Chiedo: scrivere questa roba, era indispensabile? Per aumentare il numero delle pagine, alcune contengono una sola riga scritta! Non è bello un libro fatto di niente e pagine bianche. 

Eric,
(se dell’)“Elisir di sì perfetta, 
di sì rara qualità, 
ne sapessi la ricetta, 
conoscessi chi ti
 (la) fa” (perdona, Felice, questa mia sfacciataggine)

basterebbe una goccetta
a rimuover l’ovvietà
e da storia noiosetta
otterresti una beltà.

P.S. Peccato. Di Schmitt avevo letto altri libri, leggeri ma non banali. Questo sa di filosofia da supermercato (con tutto il rispetto per i supermercati). 
Oppure sono io incapace di cogliere. Perché no.