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Patricija

Gatta ci cova

A voce alta. The Reader - Bernhard Schlink

Anni Cinquanta. Storia di carne e ossessione fra Hanna e Michael. Lei ha 36 anni, lui 15. C’è un rito che precede il loro atto carnale: la lettura ad alta voce che il giovane è costretto a compiere prima di saziarsi di lei. È il ragazzino”, il lettore di Hanna, colui che la risolleva dalla sua  vergogna segreta.

Vergogna che la porta a cambiare lavoro ogni qualvolta si prospetta una promozione.

Vergogna così grande che per sfuggirla lascia la Siemens dove lavora e si arruola nelle SS.

Però…

C’era un accordo tra gli industriali e le SS che, per far fronte alla crisi di personale, fornivano manodopera proveniente dai lager. Le industrie potevano contare su schiavi facilmente rimpiazzabili. La Siemens era una di queste.

Peccato che Hanna non abbia mai incontrato uomini e donne e bambini in condizioni “precarie” che arrivavano dai campi di concentramento alla Siemens per lavorare.

 

Sempre per la sua vergogna insopportabile, ad Auschwitz, farà leggere a voce alta un numero imprecisato di creature innocenti prima di mandarle a gasare.

E per la stessa vergogna si assumerà persino l’unica colpa di cui non è responsabile.

Poi il riscatto. La rimozione della vergogna: in carcere impara a leggere.

Hanna era analfabeta.

Può sembrare incredibile, ma in Germania negli anni ’20 l’analfabetismo era solo l’1-2% mentre in Italia si superava il 35%. E to’! Hanna faceva parte di quella percentuale. Un modo come un altro per rendere “umana” la carnefice, per alleggerire le responsabilità, per trasformare in peccato veniale colpe che non hanno pari.

 

Al giudice chiede: Che cosa avrebbe fatto lei?”.

Giacché la sua è stata una scelta volontaria, perché porre questa domanda? Perché le risposte ci sono, e non comprendono l’arruolamento nelle SS. Una, per esempio: “Avrei cercato un altro impiego come le volte precedenti”.

E c’è il silenzio di Michael quando, anni dopo, assiste per caso al processo. Lui sa, ha capito che lei è analfabeta. Potrebbe rivelarlo al giudice e farle ridurre la pena. Ma tace. Perché? Per rispettare il segreto di Hanna?  Per motivi personali? Per codardia? Per vergogna? La donna che si è amata, e che rimane nel cuore per tutta la vita non merita d’essere scagionata da una colpa orrenda di cui non è responsabile? Ma poi per buon cuore registra su nastro un buon numero di libri e glieli invia in carcere.

 

Al tempo stesso mi chiedo, e cominciai a chiedermelo già allora: ma cosa doveva e deve farsene, la mia generazione di nati dopo, delle informazioni sulle atrocità dello sterminio degli ebrei? Noi non dobbiamo pensare di poter comprendere ciò che è incomprensibile, non possiamo comparare ciò che è incomparabile, non possiamo indagare, perché chi indaga sulle atrocità, anche se non le mette in discussione, ne fa comunque oggetto di comunicazione e non ottiene che qualcosa di fronte a cui può solo ammutolire per l'orrore, la colpa e la vergogna. Dobbiamo solo ammutolire per l'orrore, la colpa e la vergogna? A quale scopo? No, non è che l'ardore della rielaborazione e lo zelo di far luce, con cui avevo partecipato al seminario, fossero andati perduti durante il dibattimento. Ma che solo pochi venissero condannati e puniti e che noi, la generazione venuta dopo, ci ritrovassimo ammutoliti dall'orrore, dalla colpa e dalla vergogna: era giusto che fosse così?”

 

A quale scopo? Io dico: allo scopo di mantenere viva la memoria in modo che l’orrore non si compia nuovamente. E allo scopo di crescere nuove coscienze che traggano insegnamento dalla Storia.

Se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli (e per figli intendo la generazione dei venuti dopo) è altrettanto vero che i figli hanno l’obbligo morale di non reiterare le colpe dei padri. Questo vale per la Germania, come per l’Italia o qualunque altra nazione.

Non ci si deve vergognare, ma indignare, sì.

 

Bella scrittura, ma distaccata, fredda. La “Storia” sfiorata. Ci sono temi troppo importanti perché siano solo accennati e non scavati. Anche in un romanzo.

Non si può rendere impalpabile la banalità del male.